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Siamo in Atene, nel 399 a .C .; l'Areopago si è adunato per giudicare un cittadino che alcuni ritengono una delle più grandi menti dell'umanità mentre per altri è un pericoloso nemico dello stato.
Egli, un uomo sui settant' anni, di bassa statura ed aspetto tutt' altro che gradevole, si difende, interrogando i propri accusatori, i quali, uno dopo l'altro, sono costretti, loro malgrado, a mostrare l'infondatezza delle proprie accuse. Si tratta, il lettore se n'è già accorto – anche perché il titolo di questo testo è scritto in carattere grande e neretto – del processo di Socrate.

Quali furono le ragioni per le quali la democratica Atene processò Socrate? È necessario, per rispondere a questa domanda, operare una distinzione tra quelle che furono le vere motivazioni ed i pretesti giuridici che furono utilizzati allo scopo.
Sembra che Socrate sostenesse la supremazia sistema politico aristocratico, concependo il governo dello stato come un compito difficile e delicato, da far svolgere da persone preparate e qualificate, in contrasto quindi con la costituzione democratica in vigore all'epoca del processo.

Non solo, egli aveva strette amicizie con alcuni fautori estremi dell'aristocrazia che qualche anno prima avevano organizzato un colpo di stato. Ecco quindi perché, mentre il governo aristocratico aveva sempre concesso a Socrate piena o quasi libertà di parola e pensiero, il nuovo regime democratico lo reprime.
Dal punto di vista giuridico formale le accuse per le quali Socrate è tradotto di fronte all'Areopago, il tribunale supremo, sono tre: empietà, corruzione dei giovani, introduzione di nuove divinità e non riconoscimento di quelle tradizionali.

La prima accusa, empietà, si riferiva a degli studi naturalistici fuori dalla norma, che comunemente si ritenevano compiuti da Socrate, tant' è vero che anche Aristofane , nella sua commedia Le nuvole, ce lo presenta in una cesta che galleggia a mezz'aria, assorto in ragionamenti bislacchi.

La difesa è impegnata nel dimostrare che il fatto non sussiste; in effetti, mancano accusatori formali e, di conseguenza, manca un'accusa scritta da questi e consegnata al tribunale. Socrate chiama a testimoni i suoi giudici: nessuno di loro può affermare di averlo mai visto impegnato negli studi che gli sono contestati.
La seconda tra le accuse contro Socrate, mossagli da Meleto, è di avere corrotto i giovani.

L'assurdo del Socrate e lo specchioragionamento di Meleto – Socrate lo mette bene in evidenza – è questo: secondo lui i giudici, il pubblico, gli ecclesiasti , in altre parole tutti gli ateniesi, sono buoni educatori, mentre Socrate sarebbe appunto l'unico guastatore. A questo punto viene esplicitata un'analogia: così come sono pochi coloro che sanno allevare ed allenare cavalli da corsa, mentre la maggior parte delle persone li rovina, non è forse vero che tale regola vale per tutti gli animali, uomini compresi? Meleto non sa cosa rispondere.

Socrate incalza: egli, anche se avesse corrotto i giovani, non lo avrebbe mai fatto involontariamente, poiché il vivere tra uomini malvagi procura sempre dei danni, e nessuno cerca mai consapevolmente la propria rovina. Per comprendere appieno questa parte della difesa, è necessario ricordare che, mentre la legge ateniese puniva chi volontariamente corrompesse i giovani, il farlo non intenzionalmente non costituiva reato.

La terza accusa è di aver introdotto in Atene nuove divinità e di non riconoscere quelle tradizionali; il riferimento è al daimon socratico, che alcuni ritengono un dio. Socrate è chiarissimo su questo punto: il daimon è un essere che lo avverte tutte le volte che dice qualcosa di sbagliato, in altre parole la voce della sua morale; non è un dio, ma è figlio di dei. Non essendo un dio, egli non può aver introdotto nuove divinità, ma in quanto figlio di dei , è implicita l'accettazione di Socrate per le divinità tradizionali, perciò egli è innocente.

L'Areopago quindi vota, a stretta maggioranza, la colpevolezza di Socrate; dopo ciò , secondo la legge ateniese, l'imputato e gli accusatori dovevano formulare due proposte di pena, vagliate successivamente dal tribunale. Gli accusatori propongono la condanna a morte; Socrate, sarcasticamente, chiede un vitalizio d'onore dallo stato.
La seconda votazione vede Socrate condannato a morte, con maggioranza più ampia rispetto a prima.

La condanna a morte di Socrate ha suscitato e suscita tuttora dibattiti che egli stesso avrebbe difficilmente giustificato. Infatti egli si piega docilmente al volere del tribunale, nonostante i discepoli più volte lo incitino alla fuga; ciò poiché ritiene che la legge sia giusta, e che ad essa deve tutto quello che è, quindi, anche se gli uomini la hanno applicata male, è sbagliato infrangerla.

Si tratta di una prova profondissima dell'integrità morale di Socrate, valida anche al giorno d'oggi, nonostante non si ritengano più le leggi dello stato sempre giuste a favore del giusnaturalismo : egli ritiene corretta legge ateniese e quindi la rispetta, indipendentemente dal contesto in cui si trova. È pertanto possibile affermare che Socrate rifiuta totalmente il compromesso, inteso in senso negativo quale degenerazione e corruzione dei propri principi morali.
Sembra assurdo che la democratica Atene abbia condannato Socrate alla cicuta per aver, volendo esprimerlo sinteticamente, pensato indipendentemente.

Al di là delle considerazioni di carattere storico, esposte verso l'inizio di questo testo, è necessario riflettere un poco sulla parola democrazia. Essa si è caricata modernamente di significato: infatti per democrazia intendiamo una forma di governo che interviene attivamente in campo economico e sociale in soccorso degli individui più deboli; sono quindi implicati il rispetto della diversità e il riconoscimento dei diritti di libertà di pensiero e di espressione.

Tale concezione, applicata all'Atene di Socrate, è fuorviante ed errata: Atene democratica significa solo che tutti i cittadini (che sono tra l'altro una minoranza della popolazione) godono dei diritti politici attivi e passivi.
Consegue che la costituzione ateniese non garantiva in alcun modo i diritti di libertà di pensiero ed espressione, e quindi non deve stupire in alcun modo la condanna di Socrate.

Egli è ancora un modello di riferimento per l'uomo moderno, in cerca di identità per una moltitudine di cause tra le quali, ad esempio, la crisi delle religioni storiche, grazie alla sua concezione di virtù come bene prezioso da conquistare, che deve spronarci alla ricerca ed alla riflessione, e grazie alla sua intransigenza morale adamantina, eccezionale esempio di coerenza con se stessi.

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