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SISTEMI D'ALLARME


Sono ben sei, in Giappone - che da sempre convive con gli tsunami - i centri regionali che controllano continuamente i rischi dei maremoti. I centri sono collocati a Sapporo, Sendai, Tokyo, Osaka, Fukuoka e Naha.
Questi centri sono connessi a un sistema sofisticatissimo di monitoraggio elettronico che trasmette segnali in continuazione.
Il preavviso è possibile grazie ad un sistema di monitoraggio costituito da una serie di boe, dislocate nelle zone a rischio sismico, che sono in grado di rilevare movimenti anomali delle masse d'acqua oceaniche e di trasmettere tali dati ai centri di sorveglianza da cui viene lanciato l'allarme. Grazie a questi apparecchi è possibile segnalare la formazione di uno tsunami, il suo grado di pericolosità e la stima del tempo d'impatto sulle coste. Le informazioni vengono rilanciate dai mass media, così che la popolazione residente nelle zone o nelle vicinanze del luogo sui cui si abbatterà lo tsunami è avvisata in tempo.

DISASTRO PREVEDIBILE? SÌ


Ma allora, vista l'esperienza del 1883 e del 1960 (quando un'onda gigantesca originata al largo del Cile arrivò, dopo aver travolto le isole Hawaii, fino alle coste del Paese del Sol Levante), vien da chiedersi se questa efficienza e capacità scientifica possa veramente prevenire un disastro naturale a vasto raggio.
A questo gli esperti giapponesi non rispondono ancora. Oggi intanto hanno inviato un gruppo di scienziati nella zona più vicina dell'epicentro di Sumatra.
I centri di ricerca più sofisticati dell'arcipelago giapponese hanno studiato e simulato il maremoto più devastante degli ultimi quarant'anni, giungendo alla conclusione che non una ma ben due onde tsunami hanno colpito da est e da ovest la faglia sottomarina da Sumatra fino al continente indiano generando onde gigantesche arrivate fino in Kenya e in Somalia, in Africa.
La simulazione è stata realizzata da Kenjii Satake, responsabile del centro di ricerca nazionale di Tsukuba che ha ricreato il sisma di magnitudo 9,0 Richter che ha provocato il maremoto abbattutosi su una delle zone più popolate del mondo.
"Queste due onde - ha spiegato l'esperto - sono state generate da un maremoto potentissimo avvenuto sulla faglia che si allunga per circa 1.000 chilometri da est ad ovest". Onde che per attraversare l'Oceano Indiano hanno impiegato solo due ore.
Era possibile prevenire il disastro? Si potevano avvisare gli abitanti e i turisti che una grossa onda li avrebbe sommersi in poco tempo? Risposta affermativa.
Secondo gli esperti giapponesi si poteva informare o quanto meno segnalare l'arrivo di un grande maremoto.
Al sistema giapponese, fa riferimento anche un ricercatore dell' Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr di Venezia , l'ingegner Luigi Cavaleri , spiegando che i terremoti sono dovuti a improvvisi spostamenti di zolle terrestri adiacenti che possono raggiungere al massimo un metro o poco più.
Quando questi spostamenti avvengono in zone sommerse dal mare, "la perturbazione in superficie si propaga come onda circolare, un pò come quando lanciamo un sasso in acqua".
In questi casi l'onda è molto bassa ma il suo volume e l'energia sprigionata sono elevatissimi.
La velocità con cui un'onda si propaga è calcolabile con facilità e precisione, il che permette di accertare il luogo e il momento in cui essa arriverà.
"Nel Pacifico - continua Cavaleri - c'è un sistema di allarme che in Giappone funziona così bene che esistono documentazioni video dei maremoti riprese dalle persone postesi in salvo su un luogo opportuno per riprenderne gli effetti, catastrofici ma spettacolari".
Anche nel caso del maremoto che ha colpito il Sudest asiatico sarebbe stato quindi possibile allertare la popolazione ma manca un adeguato sistema di previsione e informazione.



MEZZI ARRETRATI IN INDONESIA


In Indonesia, i mezzi di informazione e di monitoraggio secondo gli esperti giapponesi sono troppo arretrati.
Anche le Nazioni Unite oggi a Ginevra hanno deplorato l'assenza di sistemi di allerta nei Paesi che si affacciano sull'Oceano Indiano, a differenza di quanto accade in quelli del bacino del Pacifico.
"L'Indonesia fa il possibile per prevedere i maremoti ma non ha i fondi necessari e si trova in una situazione simile a quella che il Giappone visse oltre 20 anni fa ", ha detto Yuichi Morita, professore presso il centro di ricerca dell'Università di Tokyo.
"Una lezione decisiva che questo disastro deve insegnarci è l'importanza dei sistemi di preallarme nel limitare i rischi e la vulnerabilità delle popolazioni" , ha detto Salvano Briceno, direttore del segretariato dell'Isdr (Strategia internazionale per la limitazione dei disastri), un'organismo dell'Onu con sede a Ginevra.
L'Isdr sottolinea che sistemi di preallarme per i maremoti esistono fin dal 1948 nel bacino del Pacifico; al contrario, non c'è alcun sistema di allerta tsunami nell'Oceano Indiano .
I villaggi costieri sul Pacifico - afferma l'Isdr - sanno quali misure prendere se dopo un terremoto si crea uno tsunami, e molte spiagge hanno segnali che avvertono la gente se c'è un rischio tsunami.
Niente di tutto questo, deplora l'Isdr, esiste per i Paesi che si affacciano sull'Oceano Indiano , devastati dall'ondata di maremoto provocata dal più forte terremoto degli ultimi 40 anni.
"Un semplice e tempestivo messaggio può andare molto lontano e fare la differenza fra la vita e la morte, fra la rovina e la sopravvivenza economica".

http://earthquake.usgs.gov/eqinthenews/2004/usslav/

Un israeliano ha cercato di inventare un dispositivo capace di prevenire altri simili disastri. Meir Gitelis, che ha dichiarato di aver messo a punto un sistema composto da economici sensori terrestri e marini capaci, via wireless, di inviare dati ad un computer. Gitelis ha spiegato che i dati così raccolti vengono elaborati in tempo reale da uno speciale software in grado di predire l'arrivo di un imminente tsunami, ovvero di un'onda gigantesca causata da un terremoto o da un'eruzione vulcanica nelle profondità oceaniche.
In modo simile ai sistemi già in uso, il dispositivo creato dall'inventore israeliano può inviare allarmi via satellite a governi e centri operativi della protezione civile. A differenza delle soluzioni commerciali, però, Gitelis sostiene che il proprio sistema è sensibilmente più economico - ogni sensore costa circa 170 dollari - e, inoltre, è predisposto per avvisare anche i normali cittadini: questo può avvenire attraverso l'invio di messaggi a telefoni cellulari, cercapersone o appositi ricevitori.
"I sensori misurano l'intensità e la frequenza delle vibrazioni che si propagano nel suolo e controllano il moto ondoso: in base a questi dati, un computer centrale di modesta potenza è in grado di predire, con un margine d'errore assai ridotto, il verificarsi di un imminente maremoto", ha spiegato Gitelis.
L'inventore sostiene che il proprio sistema, se utilizzato in modo diffuso, potrebbe salvare molte vite umane: fra il primo allarme e il verificarsi della calamità - assicura - c'è infatti il tempo sufficiente per evacuare le persone che abitano in prossimità delle coste.
Gitelis ha dichiarato di non voler lucrare sulla recente tragedia e per tale motivo intende donare il proprio dispositivo a tutti i paesi asiatici recentemente colpiti dal maremoto e a quelli economicamente poveri.


http://punto-informatico.it

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