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La Settimana Santa

Tra le tante feste religiose che animano Alimena particolare interesse riveste, per le suggestioni che riesce a creare, la Settimana Santa, un'antica tradizione nella quale la popolazione locale riscopre la sua identità culturale. Le celebrazioni iniziano la Domenica della Palme con le processioni delle confraternite del Rosario e di San Giuseppe: i due cortei mostrano nel loro incedere le loro Croci rappresentative. Il Lunedì è la volta della confraternita della Maestranza: i fedeli dell'associazione religiosa procedono disposti in squadra accompagnati dalla banda musicale. Il Martedì sfila la confraternita del Crocifisso mentre il Mercoledì i confrati della compagnia dell'Ecce Homo, ordinati in file e preceduti dal tamburino che scandisce i tempi, attraversano il paese portando in mano ceri spenti a eccezione di uno che regge invece una vecchia Croce di legno. Il Giovedì è dedicato alla processione della confraternita più antica del paese, quella del Santissimo Sacramento. Il Venerdì è un giorno di intensa spiritualità: diversi cortei di confrati e fedeli, dalle prime ore del mattino alla tarda notte, percorrono le strade di Alimena. A mezzogiorno al richiamo della truccula, una tabella di legno, tutte le confraternite confluiscono con le proprie insegne, le bandiere e le Croci nei pressi della Chiesa Madre. Da qui il corteo, in un ordine prestabilito, sale verso la Chiesa del Calvario dove inizia una nuova processione, quella di Gesù Cristo adagiato dentro un'urna di vetro sostenuta da giovani portatori. La sfilata termina nella Chiesa Madre. La Settimana Santa trova la sua conclusione nella celebrazione della funzione sacra che ha inizio alla mezzanotte del Sabato alla Matrice e che ripercorre, nella liturgia, lo splendido evento della Resurrezione di Gesù


Le Confraternite Torna su

Ad Alimena esistono sei confraternite. La successione comunemente riferita, dalla più antica alla più recente, è la seguente: confraternita del SS. Sacramento, dell'Ecce Homo, del Crocifisso, del Rosario, di San Giuseppe. Queste sarebbero state fondate contemporaneamente al paese, intorno al 1600. La maggior parte dei confrati intervistati ritiene, peraltro in accordo con quanto recitato negli statuti, che le confraternite di Alimena siano sorte per motivi di devozione, ma un confrate dell'Ecce Homo, sintetizza nella << tesi di religione e confraternita >> il motivo fondamentale del nascere della sua compagnia: << La tomba e gli altri privilegi - egli afferma - sono venuti dopo >>. Il diritto goduto da ogni compagnia di possedere una sepoltura viene cioé valutato come un elemento secondario rispetto agli scopi devozionali. Riguardo alla Maestranza alcuni iscritti affermano che essa era formata originariamente solo da artigiani. Di recente si sono iscritti invece non solo muratori, falegnami, fabbri, calzolai, ma anche commercianti ed autisti, quindi non artigiani e non necessariamente imparentati con mastri come in passato. Le altre confraternite denunciano i guasti profondi dell'emigrazione e si reggono sugli ultimi iscritti, pochissimi dei quali presenti ad Alimena, dal momento che la maggior parte risiede ormai all'estero. Per le altre confraternite, Crocifisso, Rosario, San Giuseppe sostanzialmente identica alle precedenti la loro composizione sociale: contadini e artigiani ne costituivano in passato e ne sono attualmente i componenti. Dalle interviste con i confrati si evince che le iscrizioni, i compiti, gli obblighi e i privilegi all'interno di ciascuna confraternita erano regolati da norme prestabilite. Per quanto tutti gli informatori parlino di un regolamento interno, ben pochi tuttavia sono quelli che ne ricordano con sufficiente coerenza le modalità. Dalle interviste si evince che la compagnia dell'Ecce Homo e strutturata secondo una organizzazione gerarchica delle mansioni che prevede un Superiore, un Vice Superiore, un Segretario, un Cassiere e 1'Amministrazione. In verità i nostri informatori non chiamano in causa troppo spesso la gestione spirituale delle confraternite e anzi riguardo ai rapporti con la chiesa rimarcano consapevolmente e insistentemente la loro autonomia e indipendenza. Riguardo alle modalità di iscrizione, gli informatori dichiarano che a chiunque é concesso far parte della compagnia. E’, necessario però che 1'aspirante confrate presenti prima una domanda di ammissione e se accettato che paghi L. 10.000 e successivamente L. 1.000 per il rinnovo annuale. Quanto a possibili forme di assistenza, sia economica che di altra natura, di cui i confrati mutualmente godevano nel passato, i nostri informatori ricordano soltanto l'obbligo, non più vigente, di accompagnare al cimitero il confratello defunto eccetto se malati. Il diritto alla sepoltura è rimasto dunque 1'unico ad essere ancora parzialmente fruito. La tomba e 1'oratorio costituivano i beni materiali più cospicui. Nel ricordo dei vecchi confrati le feste religiose e soprattutto il periodo quaresimale costituivano però i momenti più importanti di riposo e di vita comunitaria. Anche se << era lunga la quaresima >> essa offriva tuttavia occasioni e motivi per stare insieme a cantare, a mangiare e a bere. Non tutte le compagnie possedevano però l’oratorio. La Maestranza per esempio si riuniva nella sagrestia della chiesa del Carmelo, e così anche il SS. Sacramento, dopo che il suo oratorio era stato espropriato << ingiustamente >> da un possidente del luogo. Le compagnie che ancora oggi dispongono di un locale lo aprono raramente, << solo a Pasqua e nelle due domeniche successive per il rinnovo delle iscrizioni annuali >>. Il bar é diventato il luogo dove più frequentemente i confrati si riuniscono per giocare insieme a carte. Le confraternite di Alimena avevano ciascuna la propria chiesa, dove i confrati si recavano per assistere alle funzioni religiose. In entrambi gli statuti consultari, al capitolo quarto, si recita infatti: << L'individuo fratello dovrà essere probo, integro e onesto, che gode buona opinione presso il pubblico, venendo esclusi i ladri, i bestemmiatori, gli spergiuri, i maldicenti, gli scandalosi, i giocatori, i pervenuti di misfatto e coloro che per difetto qualunque sono stati esclusi d'altre compagnie e della propria>>. L’interessante è osservare che nel brano citato si offre una perfetta immagine della società divisa in buoni e cattivi. L'interessante articolo suggerisce cioè una immagine della confraternita come microcosmo di eletti, che si pone quale exemplum civile e religioso davanti alla più vasta comunità, ai cui margini stanno coloro che deviano dalla retta via. In questa programmata volontà di separare e contrapporre buoni e cattivi, la confraternita celava forse la sua più pericolosa funzione di controllo sociale della comunità. Dipendenti dal vescovo e dai suoi rappresentanti, le confraternite di Alimena dovevano ottemperare ad alcuni obblighi religiosi, la cui inosservanza provocava 1'espulsione dei confrati o, nei casi meno gravi, il pagamento di multe in denaro. Era cioè obbligatorio il precetto annuale e la partecipazione alle manifestazioni religiose sia processionali che liturgiche. Da molti anni tuttavia i rapporti fra le confraternite e il clero non subiscono più incrinature o lacerazioni di tal genere. Purtroppo le confraternite sembrano destinate a scomparire insieme agli ultimi vecchi iscritti, detentori di un sapere e di una concezione della religiosità, in cui ha trovato espressione una visione del mondo diversa e, in alcuni casi, attivamente contrapposta rispetto a quella ufficiale. (Riguardo agli statuti di ciascuna confraternita, gli intervistati o ne hanno dichiarato la perdita o hanno affermato che ne sconoscono 1'esistenza)


Il Coro Torna su

Strettamente correlato con 1'assottigliarsi del1'universo sociale delle confraternite, il graduale impoverimento del loro tessuto culturale si manifesta con tutta evidenza anche nell'uso sempre più discontinuo del coro e delle lamentanze. Ad Alimena ogni confraternita ad eccezione della Maestranza aveva un coro che lamentava. Da molti anni a causa dell' emigrazione e dell' interrompersi del processo di trasmissione dei canti dai vecchi ai giovani, il numero dei cori si è via via ridotto. Dei cinque originari ne esistono attualmente due, di cui soltanto uno può dirsi ancora organicamente strutturato: è il coro della compagnia dell'Ecce Homo, formato, sebbene non interamente, dagli ultimi anziani cantori della confraternita. Poichè i giovani non imparano più le lamentanze e mancano quindi << gli elementi appassionati al canto », il criterio che stava alla base della costituzione di ogni coro ha perso oggi vigore. E’ decaduto cioè l'obbligo di appartenere ad una confraternita per entrare nel coro, e si accetta al suo interno chiunque conosca le lamentanze, sia o no confrate. La necessità di mettere su una << squadra che sa cantare > è ugualmente alla base dell'aggregazione di alcuni confrati del Crocifisso, Rosario, San Giuseppe e SS. Sacramento, i quali, in modo instabile, formano il secondo coro.
L'attuale casualità degli aggruppamenti e la discontinuità delle esecuzioni (sebbene ciò sia da ascriversi in misura minore al coro dell'Ecce Homo), rendono spesso disarmonici i canti. Gli intervistati dichiarano che le voci non sono << adatte » o sono poco affiatate e che non sempre tutti conoscono le stesse parole delle lamentanze. Il coro dunque perde via via le sue caratteristiche di compattezza e di organicità, la sua << bellezza >>, così nostalgicamente testimoniata degli informatori. Un coro organico e affiatato e un coro ben strutturato, affermano gli interessati. Anche in passato quando si disponeva di molti elementi, esso non comprendeva più di dieci persone, distribuite secondo uno schema generale: la prima voce, indicata come prima nota o primo canto, la seconda voce o seconda nota, tre o quattro voci che facevano da seconda, due-tre, raramente quattro, da basso. Salvatore Pantano ex contadino di 72 anni che canta ancora come prima voce nel coro dell’'Ecce Homo fa rilevare l’interessante interdipendenza che lega fra loro le voci: < Nel coro quello che faceva di prima sapeva le parole - afferma Pantano - poi c'era l'aiutante, il quale l'aiutava a rilevare la voce e quest'ultimo faceva di prima dei secondi; quindi c'erano tre-quattro secondi e tre-quattro bassi >>. Le posizioni reciproche dei cantori così come le abbiamo osservate nel corso della ricerca, confermano questa << strutturalità >> del coro: i componenti si dispongono in modo da formare un semicerchio con al centro colui che fa la prima voce affiancato a chi fa la seconda, e gli altri accostati così che le voci emesse dai diversi punti convergono verso il centro. Questo modo di disporsi non varia, se non minimamente nelle distanze reciproche. L'attuale coro dell'Ecce Homo è certo meno ricco di quello descritto da Pantano. I suoi elementi non superano oggi il numero di sette, distinti in << primo canto, secondo canto e poi coro, che comprende quelli che fanno di seconda e i bassi >>; manca inoltre la squiglia. << La squiglia - afferma il nostro informatore - la facevano i carusi, ossia i ragazzini. La squiglia spiccava e cantava alla conclusione del canto, cioè all'ultimo di ogni parte, perchè ci dava un colorito così bello! ». Essa era dunque una voce acutissima capace di superare le altre nel coro, «fine e argentina >> come può averla solo un ragazzino. E’ interessante notare che per tradizione i carusi che facevano la squiglia provenivano tutti dalla stessa famiglia di Alimena: << Quelli erano di carovana! - commentano gli informatori - erano proprio di carriera! >>. Ma a fare la squiglia a volte, intervenivano fuori dal coro anche i ragazzini e i giovani che volevano imparare a cantare e volevano << farsi notare >> dagli anziani: << Le lamentanze si imparano per passione, accompagnando quelli che cantano fino dai cinque o sei anni >>, commenta un anziano confrate. << Si impara seguendo i vecchi ed imitandoli >>, dichiara Pantano, che a 12 anni faceva la squiglia. Ma l’apprendimento e il tirocinio dovevano essere lunghi e difficili se, come afferma un confrate del SS. Sacramento, l'età minima per entrare nel coro era di 30 anni: lui stesso è stato accettato a 50. Poteva accadere tuttavia che per 1'improvvisa mancanza del capocoro, primo canto diventasse anche il ragazzo la cui voce << tonevole >> e il cui << genio >> si fossero fatti apprezzare precedentemente, come nel caso appunto di Pantano. Egli ha cominciato a cantare ufficialmente da prima voce a 17 anni in seguito alla morte di Michele Lupo, capocoro dell Ecce Homo e suo maestro: << Io non volevo cantare all'aperto in chiesa - ricorda Pantano - mi sentivo guardato da tutti! >>. I riconoscimenti ufficiali e gli incoraggiamenti non venivano però concessi troppo generosamente. Anzi le buone prove dei giovani desiderosi di cantare suscitavano non poco la competitività degli anziani se questi << non volevano che i ragazzini cantassero quello che sapevano loro, per gelosia e per invidia >>. L'antagonismo tuttavia non impediva che a lungo andare non si riconoscessero le buone qualità di un cantore. Del resto la presenza di un bravo elemento nel coro era fatto importantissimo per la confraternita che lo possedeva: una bella esecuzione assicurava l'ammirazione di tutto il paese. << Fino agli anni trenta - dichiara un informatore - questa tradizione (delle lamentanze) era sentita e l'opinione pubblica stava attenta a tutte le compagnie, a chi cantava meglio, e faceva i commenti >>. C'era dunque una vera e propria gara di bravura fra le confraternite e in essa ciascuna cercava di superare le altre. Anzi la competitività e 1'antagonismo a questo riguardo non dovevano essere lievi se alcuni ricordano che poteva essere espulso dalla compagnia quel confrate che avesse osato cantare nel coro di un'altra. Non era tollerato cioè che si facesse << fare cattiva figura alla propria confraternita e buona figura ad una estranea >>, per quanto nessuna regola scritta impedisse ad un confrate di cantare altrove. Nulla è possibile affermare riguardo alla reale concretezza delle punizioni, ma è certo che liti ed invidie all'interno di una confraternita motivano ancora oggi spostamenti di <<rappresaglia>> da un coro all'altro: << Pantano dell'Ecce Homo - afferma un confrate del SS. Sacramento - un anno fa fu con noialtri, perché ebbero discordia nella compagnia >>.
I motivi della discordia ci sono rimasti ignoti, ma possiamo immaginare che il coro dell'Ecce Homo per quell'anno non abbia cantato. Pantano infatti proprio per aver fatto sempre la prima voce conosce meglio degli altri le parole delle lamentanze. Malgrado 1'età e 1'uso sempre più discontinuo dei canti, la sua memoria è ancora vigile. Egli sa leggere e scrivere, avendo frequentato la scuola fino alla sesta elementare, e durante un incontro a casa sua mi ha trascritto personalmente la Salve Reggina Addilirusa, che i confrati cantano nella funzione pomeridiana del Giovedì santo insieme ai fedeli. La sua forte personalità e la sua funzione di prima voce ne fanno poi una figura centrale del coro. La buona strutturazione di quest’ultimo e d'armonia delle esecuzioni dipendono anche dalle sue capacita di leader. << Il primo canto - dice Pantano - non permetteva che invece di cantare in 10 si cantasse in 15 perchè essendo molti c'è qualcuno che va fuori tonalità. Egli (il primo canto) individua chi e intonato e chi non lo è, e se qualcuno stona, è fuori tono, lo tocca nel braccio segnalandogli di non rispondere, perchè fa fare delle cattive figure >>. E’ probabile che non poche invidie e gelosie reciproche nascessero fra i componenti del coro da queste buone o cattive prove: ancora oggi del resto la competitività può scoppiare vivace per motivi di <<prestigio >>. Ormai da diversi anni le confraternite non lamentano più prima della settimana pasquale, come invece sembra che si facesse in passato. Allora << la quaresima durava veramente quaranta giorni e ogni domenica si andava all'oratorio a fare la via Crucis e a lamentare ». Ogni coro si riuniva a provare i canti ed era questa una buona occasione per i confrati di stare insieme a mangiare << caramelle o sarde salate e a bere vino a spese della confraternita ». << Oggi invece ci si riunisce per forza » - è 1'amaro commento degli informatori.


Le Lamentanze Torna su

IngrandisciMolte manifestazioni rituali della Settimana santa sono ancora accompagnate dalle lamentanze, i tradizionali canti polivocali che hanno per tema la passione di Cristo. Essi vengono chiamati dai confrati parti o forme del latino, benchè soltanto alcuni siano in un latino che si presenta oltremodo alterato e piegato alle esigenze di emissione vocale dei cantori, la maggior parte invece in dialetto. Era uso tradizionale ad Alimena lamentare continuativamente dalla Domenica al Venerdì santo, eccetto che durante la processione pomeridiana del Venerdì. I canti registrati nel corso della prima campagna di ricerca sono stati eseguiti dal coro dell'Ecce Homo. I confrati hanno lamentato in varie circostanze dal Mercoledì al Venerdì santo, e gli stessi canti, ad eccezione di pochi che sono particolari di alcune cerimonie, si ripetevano anche negli altri giorni della Settimana santa. La maggior parte dei testi che qui vengono riportati sono stati recitati in occasione diversa da quella cerimoniale da Salvatore Pantano, capocoro dell'Ecce Homo. Essi appaiono più integri rispetto a quelli delle esecuzioni originali, complete di parole e canto. Non mi è sembrato tuttavia inutile offrire, laddove appariva interessante, il raffronto fra il testo recitato e il testo cantato. Infatti, se in generale è possibile notare che il testo assume una diversa autonomia contenutistica e formale nel suo legarsi con il canto, non meno interessante appare il fatto che anche la maggiore brevità del testo cantato si configura organicamente. Benchè a causa del graduale processo di perdita della memoria da parte del cantore o del sempre più frequente scompaginarsi del coro, 1'esecuzione originale offra un' testo invariabilmente ridotto, solo in rari casi questa riduzione si presenta disorganica e dà 1'immagine di un testo disgregato. Il più delle volte esso si ricostituisce invece nel rispetto della coerenza logica e formale. Ne è un esempio questa lamentanza eseguita il Mercoledì santo durante la processione pomeridiana:

Testo recitato:
Gesù era attaccato e ccaminava
a lu munti Calvariu si nni iva
pisanti era la cruci ca purtava
c'ogni ddu passi tri bbote cadiva
Maria appriessu li passi seguiva
cu li lagrimi all'uocchi ca chianciva.

Testo cantato:
E lu munti Calvario
si nni ndava
era pisanti la cruce
o ca purtava
e ogni ddu passi
tre bboti cadeva.

Come emerge dalla lettura, il testo cantato appare più breve, ma non incoerente dal punto di vista narrativo: esso tende anzi ad isolare ciò che nel racconto si presta ad essere vissuto più drammaticamente: la scena del Cristo schiacciato dal peso della croce. Anche la struttura ritmica del verso assume una diversa andatura, come pure alcune difformità appaiono a livello dell'emissione vocale. Considerazioni non dissimili valgono anche per gli altri testi riportati. E’ cantato durante la processione del Mercoledì, ma può essere ripetuto in altre circostanze e in giorni diversi il Miserere. Sono tradizionalmente quattro le parti di questo lungo lamento che i confrati intonano « quando Cristo muore ». E’ interessante notare che le due versioni appartengono ad un unico informatore.

Testo recitato:
Miserere mai deo
secundu magnu
misericordia.
Secondusi mortitudine
e di miserazionem in tuam
deliniquitate
deliniquitate a mmeo.
Petsi lava meu
étici contra meu
et piccata meu.
Coniu deniquitata meu
e colpe mee
e di piccata meu.

Testo cantato:
Miserere
mai deo
secuntu magno
misericordia a mmeo
misericordia a mmeo.
Potci lava meo
étici contra meo
deliniquitate
deliniquitat'a mmeo
deliniquitat'a mmeo.
Còntisi morti tua
éttici miserazionem tuam
>deliniquitate
deliniquitat'a mmeo
deliniquitat'a mmeo.

La lamentanza che segue viene indicata dagli informatori come a cartanittisa, originaria cioè di Caltanissetta. Nella versione cantata, peraltro notevolmente abbreviata, appare caratterizzante la ripresa dei versi finali che è propria anche di altre lamentanze.

Testo recitato:
Passa Maria di na strata nova
la porta d'un firraru aperta iera
-O caru mastru chi ffaciti a st'ura
-Fazzu na lancia e ttri ppungenti chiova
-Vi prego o caru mastru di nun li fari
di nuovu vi la pagu la mastra
-Cara matri nun lu pozzu fari
ca unni cc'è Gesù cci mìntinu a mmia
Maria sintiennu st'amari paroli
nterra nni cadi e nni mori di dulori.

Testo cantato:
Passa Maria de
na strata nova
La porta d'un firraru
aperta iera
la porta d'un firraru
aperta iera.

-O caro mastro che
faciti a st'ura
-Fazzu na lancia e ttri
pungenti chiova
-Fazzu na lancia e ttri
pungenti chiova.

-Vi prego o caro mastro
di non li fari
di nuovu ve la pago
la mastria
di nuovu ve la pago
la mastria.

Recitata da Salvatore Pantano, ma intonata da Giuseppe Cappuzzo, usualmente seconda voce nel coro dell'Ecce Homo, è la lamentanza che segue. Ci troviamo qui in presenza di due varianti: in questo caso la seconda voce che sostituisce per motivi di stanchezza Pantano, ha combinato diversamente ma non incoerentemente, parti di canti differenti.

Testo recitato:
Lu vénnari
di marzu è dulurusu
Cristu bbonignu a la cruci fu mmesu
cu ddi chiova a li manu e n'atru gnusu
a curuna ntesta e cu lu cuorpu appesu.


Testo cantato:
Lu vénnari di marzu
addulurusu
Cristu bbenignu
a la stranìa
Cristu bbenignu
a la stranìa.

Cu ddu chiov'a li manu
e n'atru gnusu
e cu na lancia
l'à ttraforatu
e cu na lancia
l'à ttraforatu.

Sempre intonato da Cappuzzo é il lamento in cui il Cristo annuncia alla madre 1'avvicinarsi della. passione:

Testo recitato:
Mamma
ca mi nni vaiu a le tormenta
ca s'avvicina la simana santa
-Tu figliu figliu cuomu ti nni vai
comu sula mi lassi a la stranìa
-Mamma cci lu lassu lu cunfuortu
cci lassu a Pietro a Giacomo a Giovanni
iddu t'adurerà mmeci di mia.

Testo cantato:
Mamma ié mi nni vaiu
a lu turmentu
ca s'abbicina la
simana santa
ca s'abbicina
la simana santa.

Fillu vunni va to
sula mi lassi
comu sula mi lassi
a la stranìa
comu sula mi lassi
a la stranìa.

E la sappi […]
chiam'a Giuvanni
iddu t'adorerà
a pparti mia
iddu t'adorerà
a pparti mia.

Del tutto incomprensibile appare la registrazione originale del seguente testo:

Testo recitato:
Era nta ll'uortu di Gerusalemme
a un trattu lu pigliaru quattru brutti
ncuoddu lu cunnuceru tutt'a nnotti
Giuda davanti, appriessu la curti
Maria iva gridannu a vvuci forti
Cristu dissi mpùbblicu di tutti
-Pacienzia o matri mia, vaiu a la morti.

Giovedi santo
Alcune delle lamentanze cantate in questo giorno sono state eseguite alla Matrice. Negli intervalli della predica sulla passione il coro dei confrati ripete il Miserere e a cartanittisa, alla fine dei quali esegue un lungo lamento ricordato come i parti â cruci, cioè le parti della croce.

Testo recitato:
-Gésu
miu la sagra testa comu di spine fu ncurunatu
-Sono stato i miei peccati, Gèsu miu perdunu pietà
-Gésu miu i sagrati uocchi ncielu e nterra fuoru affissati
-Sono stato i miei peccati, Gesu miu perdunu pietà
-Gésu miu a sagrata bbocca fele d'acietu fu vvelenatu
-Sono stato i miei peccati ..........
-Gésu miu u sagru costatu comu na lancia fu ttraforatu
-Sono stato i miei peccati ..........
-Gésu miu i sagrati gginocchi comu 1'aranci fuoru scurciati
-Sono stato i miei peccati ..........
-Gésu miu i sagrati bbraccia cu ddu chiova fuoru appizzati
-Sono stato i miei peccati ..........
-Gésu miu i sagrati piedi com'un chiovu fu ttraforatu
-Sono stato i miei peccati ..........

Testo cantato:
Gesù
mio
la saga testa
comu di spine
ti ncurunà
comu di spine
ti ncurunà.

Sono stato
i miei peccati
comu di spine
ti ncurunà
comu di spine
ti ncurunà.

Gésu mio
la saga testa
Gésu mio
perdun-e ppietà
Gésu mio perdun-e ppietà.

Come appare evidente l'esecuzione registrata nel vivo della cerimonia offre un testo estremamente impoverito. E’ comunque da osservare che il lamento viene intonato da Giuseppe Cappuzzo, seconda voce del coro, e dunque non interamente padrone del testo. Egli pertanto tende a ripetere il verso che nella esecuzione corretta viene ripreso appunto da chi fa la seconda voce.
Nel corso della processione in cui si effettua la cerimonia dell'adorazione della croce, i confrati e i fedeli intonano insieme la tradizionale Salve Reggina Addilirusa. Il testo qui riportato e lo stesso che Salvatore Pantano ha trascritto di suo pugno, in altra occasione.

De salvo salvo Reggina bui matri addilurusa
vi sia raccumannata o starma mia
na grazzia vurria che sia stu cori ingrato
feruta e trapassata la vostra spata
la vita mia e passata fra tanti gran peccati
pregaci a dio priga per vostro a vostro figlio
noi dessiri in consiglio e sempre contiplari
sospira e lagrimare o li mia arruri
stu cori cu un dilura spezzati migliu vui
picari non voglio chiù chiù tosto morti
a noi dessere in conforto fina all'ultima agonia
vi prego o madre o mia non mi lasciati
starma mia in cielo portati a vui matri amurusa
in cielo e gloriusa aternamente
e io con laltra mente gridava quannu arriva
viva la matri viva la Addilurata.

Sempre il Giovedì nelle ore serali, durante la processione della fiaccolata, oltre al lungo canto già ricordato come i parti â cruci, che Salvatore Pantano afferma essere particolare di questa cerimonia, vengono eseguite anche le altre lamentanze, ad esclusione della Salve Reggina.


Venerdì santo
Ora l'uno ora l'altro dei canti già presentati vengono intonati dalle confraternite durante la visita mattutina ai sepolcri. E’ da sottolineare invece l’esecuzione di una lamentanza conosciuta come Popolo meo, che i confrati dell'Ecce Homo cantano per tutto il tempo che dura la cerimonia della adorazione della croce nella chiesa dell'ex Convento, subito dopo le 15. Secondo la testimonianza di Salvatore Pantano il coro e strutturato in: << prima voce, tre secondi, basso primo, basso secondo, mezzo basso >>.

Popolo meo
popolo meo
tebis ti criò
avom in corda
avom in corda stàbbile
rispòn
risponde mica
risponde mica
risponde mica
risponde mica.

Cantata tradizionalmente al ritorno dalla visita al Calvario è la lamentanza ricordata come a cartanittisa, ma insieme ad essa vengono anche ripetute i parti â cruci e altre lamentanze. Lo stesso avviene dopo lo scioglimento della processione vespertina, quando le confraternite riaccompagnano al Calvario la vara del Cristo. E’ questa l'ultima circostanza in cui i confrati lamentano durante la Settimana santa.


 La banda   Torna su

La banda di Alimena è costituita per la maggior parte da calzolai, sarti, falegnami, ma anche impiegati e pensionati, per i quali suonare è un diletto. Anche prima, quando la banda era numerosa e contava circa cinquanta elementi, tutti lavoravano perché «era impossibile vivere facendo solo il musicante». Allora le occasioni per guadagnare suonando non erano comunque infrequenti perché la banda «faceva la stagione», lavorava cioè in paesi diversi e veniva pagata. Anzi per due o tre anni, di seguito, il giorno del Giovedì santo, Alimena non ebbe banda perché era andata a gareggiare con altre a Caltanissetta. Un informatore commenta che «pur tenendoci moltissimo» la gente non si dispiaceva per la sua assenza, in quanto «essa faceva onore al paese». Che Alimena fosse famosa grazie alla banda è fatto continuamente ribadito. Alcuni suonatori ricordano con evidente emozione il passato splendore: «La banda soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta era una cosa insuperabile, era una superbanda; ora è una "fanfara". Queste affermazioni non esagerano di troppo la realtà: i suonatori sono pochi, la maggior parte anziani e non c'è un maestro di musica. Questi c'è stato fino al 1953, fino a quando, cioè, il Comune lo ha stipendiato. Il maestro era regolarmente diplomato e in genere veniva da fuori; il penultimo, secondo gli informatori, era di Avellino. Lo ha sostituito da tempo il capobanda, che è uno dei migliori musicanti ma non è diplomato. Tale limite è avvertito fortemente dai suonatori che affermano di capire la musica più per «sentimento» che per apprendimento. «Tutto quello che facciamo viene di natura», commenta un suonatore di tromba che ha imparato «per passione». Forse anche a causa della mancanza di un màestro di musica, i suonatori vivono dell'eredità musicale passata e non rinnovano più il loro repertorio. I brani di Verdi, Puccini, Rossini, tratti dalla Gazza ladra, dal Barbiere di Siviglia, dall'Aida, dal Rigoletto, dalla Traviata, vengono ripetuti nelle rare occasioni in cui ormai la banda suona, «gratuitamente» e per «devozione» nelle feste religiose, modestamente pagata per i funerali e i matrimoni, sovvenzionata dal Comune il 4 novembre.Durante la Settimana santa la banda suona invece il Giovedì sera e il Venerdì mattina tradizionalmente per la Maestranza, e sfila con la divisa di gala «per onorare il Signore» nella processione serale del Venerdì santo.


La Casazza Torna su

Ogni 5 o 6 anni, nel giorno di Giovedi santo, si recitava la Passione di Cristo «Il riscatto di Adamo», la cosiddetta «Casazza». La sacra rappresentazione era preceduta da tante prove di attori dilettanti, che impersonavano le stesse figure per tante volte al punto da essere soprannominati: «U Signuruzzu», «A Madonna», «S. Pietru», «A Maddalena», «Giuda» e così via. I costumi venivano noleggiati a Palermo e pare che in tempi più antichi fossero preparati in casa.L'azione drammatica, tratta dal «Passio» evangelico si apriva con una sfilata, che si snodava dal Convento lungo la via Vittorio Emanuele fino al palco, costruito un po' prima dell'incrocio con via Roma. Le scene più suggestive erano quelle del Getsemani e della crocifissione, ma il dramma raggiungeva il suo «pathos» quando Giuda traditore sprofondava tra le fiamme dell'inferno, dentro una botola creata sul palcoscenico. L'afflusso del popolo era enorme tanto che molti si piazzavano lungo il corso, con una sedia portata da casa, fin dalle prime ore del mattino, e tutti i balconi traboccavano di gente, che sfidava per ore i rigori del freddo tagliente, quasi sempre puntuale ad Alimena nella settimana santa. Qualche volta «La casazza» fu rappresentata nel Largo Convento e l'ultima volta in piazza all'inizio degli anni 1950. La tradizione è molto diffusa in Germania, dove la più celebre delle rappresentazioni è quella di Oberammergau, una cittadina della Baviera, che vive in funzione di essa fino al giorno del Venerdì santo, quando viene data pubblicamente alla presenza di una massa enorme di spettatori, affluiti da ogni dove. Purtroppo ad Alimena, ormai evoluta e vittima di un rilevante spopolamento, anche questo appuntamento teatrale e sacro insieme non suscita più l'entusiasmo dei giovani e quindi sopravvive solo in uno sbiadito ricordo. Del resto anche le celebrazioni complesse della settimana di passione, anzi di tutta la quaresima, sono state mutilate e depauperate di molti riti (per esempio il quaresimale) e quelli che restano non sono più testimoniati dalla profondità e dalla schiettezza della pietà popolare.

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