Alimena (Pa) – Il Sindaco Scrivano chiede la gestione a carico dell’Ente dei beni confiscati alla criminalità organizzata ricadenti nel territorio comunale
Beni confiscati alla criminalità: occasione d’oro o ennesimo fardello per i Comuni?
Il Sindaco Giuseppe Scrivano – già noto alle cronache per una lunga scia di guai giudiziari che ne minano la credibilità politica e personale – continua a far parlare di sé: questa volta chiedendo la gestione diretta, a carico dell’Ente, dei beni confiscati alla criminalità organizzata presenti sul territorio comunale (in contrada Garrasia e Cannatello).
Sulla carta, l’idea è nobile. La legge lo permette, l’intenzione appare lodevole: riutilizzare i beni sottratti alla criminalità organizzata per fini sociali, agricoli, educativi. Ma nella pratica la domanda è legittima: ci si può fidare?
Il Sindaco parla di “alto valore simbolico” e di “piena legalità”, ma dimentica forse che proprio la legalità è un terreno su cui lui stesso ha zoppicato più volte e le sue gesta anche recenti non contribuiscono certo a costruire un clima di fiducia.
Certo, l’idea di riconvertire un bene mafioso in spazio di legalità è potente. Ma il simbolismo non paga le bollette. E non basta a garantire risultati concreti in termini di inclusione sociale, lavoro vero, sviluppo reale. Di quante cooperative nate da beni confiscati si sono perse le tracce? Quanti progetti sono rimasti su carta?
Chi garantisce che dietro la retorica dell’agricoltura sociale non si celino operazioni di facciata, magari utili a favorire amici, parenti o soggetti politicamente vicini all’amministrazione?
Il testo della delibera comunale, come spesso accade, è un inno all’utopia: trasformare immobili un tempo simbolo del potere mafioso in centri di inserimento lavorativo per persone fragili, luoghi per terapie alternative con animali, e addirittura fattorie didattiche per bambini. Tutto bellissimo. Ma dove sono i soldi? Dove sono le persone qualificate per gestire una simile complessità progettuale quando il Comune stesso arranca nell’erogare i servizi ordinari? Dove sono i partner affidabili che garantiranno sostenibilità a lungo termine? Chi paga davvero il prezzo di questa “rinascita”? Chi si assumerà l’onere, materiale e finanziario, di far vivere questi progetti?
E poi c’è l’altra grande questione: il reale impatto sul patrimonio comunale. Sì, perché questi beni, una volta acquisiti, diventano responsabilità piena dell’ente. E non sono solo mura da ristrutturare e strade da costruire: parliamo di progetti complessi che richiedono manutenzione, energia, risorse costanti. La delibera lo dice chiaramente, anche se in burocratese: ci saranno “riflessi diretti e indiretti sulla situazione economico-finanziaria dell’Ente”. Un eufemismo per dire: costerà. E tanto. In parole povere: sarà la collettività a pagare.
In un paese quindi in cui si chiede a gran voce trasparenza e legalità, non sarebbe il caso di fermarsi un attimo e riflettere: questa è davvero un’opportunità per la comunità?
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